Mostra Fotografica
La mostra fotografica itinerante del progetto ci guida in un viaggio esperienziale alla scoperta delle Case del Popolo in provincia di Ferrara. Fotografie di archivio, immagini private fornite dai cittadini e scatti realizzati durante le riprese del documentario, compongono un mosaico evocativo e diventano segnavia di una memoria collettiva. Scopri la mostra nella versione online.

Prima di esplorare la mostra fotografica qui sotto, ti invitiamo ad attivare l’audio per un’esperienza più coinvolgente.​

Brano “Moon Disconnected” composto da Sergio Calzoni/ILUITEQ

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Introduzione alla mostra

Quella delle Case del Popolo è una storia lunga più di un secolo: il termine Casa del Popolo compare per la prima volta nel settembre del 1893 durante il secondo Congresso Socialista a Reggio Emilia, in occasione del quale viene inaugurata la nuova sede della cooperativa di Villa Massenzatico, un paese nel reggiano. 

Ispirate alle esperienze europee delle Maisons du peuple francesi, svizzere e belghe e delle Volkshäuser tedesche, le prime Case del Popolo rispondono alle finalità assistenziali delle Società di Mutuo Soccorso e delle prime leghe bracciantili e operaie. Nel tempo risponderanno ad esigenze sempre più diversificate e complesse: dal funzionamento delle cooperative di lavoro e consumo ai servizi culturali, assistenziali, ricreativi delle classi popolari. 

Nella provincia di Ferrara, che tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo è caratterizzata da condizioni bracciantili particolarmente dure (dovute alla conformazione del territorio paludoso e alla sua divisione in grandi latifondi), già all’inizio del Novecento vengono costruite le prime Case del Popolo in quasi tutti i comuni e nelle frazioni:

1900 Berra

1901 Migliarino, Valcesura, Vigarano Pieve

1902 Bondeno, Burana

1904 Alberone di Ro, San Giovanni

1905 Codigoro, Gambulaga, Ambrogio, Vigarano Mainarda

1907 Argenta, Mesola, Goro, Formignana, Roncodigà, Tresigallo

1908 Ravalle, Porporana, Francolino, Rero, Dogato 

1909 Rovereto, Bosco Mesola

1910 Serravalle, Masi San Giacomo, Medelana, Caprile

1911 Montesanto, Guarda, Coccanile

1912 Quartiere, Copparo, Sant’Agostino

1913 Longastrino, Santa Maria Codifiume, Corlo, Cologna, Monticelli, Marozzo, Ostellato, Scortichino, Stellata

1914 Portoverrara

1915 Porotto, Renazzo 

1917 Migliaro, Gallumara, Ospitale di Bondeno 

1918 Villanova

1919 Sempre, Sabbioni di Pescara, Lagosanto, Mezzogoro, Gradizza, Saletta 

1920 Traghetto, Boara, Baura, Masi Torello, Voghenza, Stradaccia, Tamara 

1921 San Giorgio a Ferrara

Le prime organizzazioni di classe bracciantili (leghe sindacali, società mutualistiche, cooperative di lavoro e di consumo) sono per lo più esperienze di matrice socialista ma non mancano anche le leghe di orientamento cattolico. La loro finalità è, principalmente, quella di supportare nella ricerca di lavoro e con azioni di assistenza sociale ed economica un bracciantato poverissimo, precario e pressoché privo di diritti a fronte di proprietari terrieri che detengono non solo il potere economico, ma anche politico e culturale. Anche per questa ragione i luoghi che i braccianti e gli operai organizzati decidono di costruire, le nascenti Case del Popolo, assumono un valore simbolico particolare: rendere tangibile la presenza, al di fuori dei campi e delle fabbriche e dunque del tempo di lavoro, di una classe sociale che acquisisce ed elabora la propria autoconsapevolezza culturale e politica e lo fa costruendo materialmente e spesso su base volontaria questi luoghi di ritrovo, di autogestione e di solidarietà. 

Questo cambiamento interessa, come abbiamo visto, anche le campagne ferraresi, e l’esperienza bracciantile assume qui un valore particolare poiché, a differenza di altri territori della regione, la proprietà fondiaria applica raramente la mezzadria e qualsiasi forma di affitto della terra ai contadini. Masse di braccianti in condizioni di grande precarietà si riversano stagionalmente, anche dal Polesine, nelle campagne ferraresi. Sono lavoratori altamente ricattabili. Non stupisce pertanto che già all’inizio degli anni Venti i socialisti abbiano un consenso elettorale molto alto, tale da aggiudicarsi la guida della Provincia e del Comune di Ferrara. Ma a quel punto sarà il Fascismo ad inaugurare un’altra storia.

Sin dagli anni immediatamente successivi alla fine della Prima Guerra Mondiale, Ferrara diviene il centro nevralgico del nascente squadrismo fascista, che tanto in città quanto nella provincia si manifesta con particolare aggressività.

Raccogliendo attorno a sé le frange più estreme degli arditi e dei reduci della guerra così come di tutti coloro che, per opportunismo o per disperazione, cercano una collocazione in una società devastata dall’esperienza bellica e dalle sue conseguenze, lo squadrismo ferrarese ha quale punto di forza distintivo l’immediato e concreto appoggio dei latifondisti agrari e della borghesia. 

In particolare essi trovano nella figura di Italo Balbo l’uomo giusto al momento giusto per dirigere la violenta reazione agli scioperi e alle proteste del “Biennio Rosso” e impedire l’ingresso dei partiti socialista e comunista nelle istituzioni; dal canto suo Balbo, e con lui Mussolini, possono fare affidamento su un imponente appoggio economico ed elettorale tali da permettere la rapida trasformazione dello squadrismo in un apparato capillare e ben organizzato militarmente. 

Nel solo arco temporale compreso tra il 1920 e il 1923 sono all’ordine del giorno omicidi e violenze a beni e persone ai danni di cittadini ma soprattutto di esponenti delle leghe bracciantili, sindacalisti, socialisti, comunisti e, come nel caso di don Minzoni (di cui quest’anno ricorre il centenario dall’uccisione) anche cattolici. Ma sono anche i luoghi e i simboli di quel vasto movimento popolare di emancipazione a subire l’assalto fascista, in primis le Case del Popolo e le Camere del Lavoro.

Dove non vengono distrutte, le Case del Popolo vengono trasformate, con un atto di forte potenza simbolica, in Case del Fascio o in sedi del Dopolavoro fascista e alla guida di diverse cooperative vengono posti uomini vicini al regime. Private dell’autonomia e svuotate di quei contenuti sociali e politici che le rendevano un baluardo per la classe operaia e bracciantile, molte cooperative vengono ridotte allo stato fallimentare e sciolte.

Occorre attendere il Dopoguerra per una rinascita delle Case del Popolo. Laddove sono state risparmiate dai bombardamenti e non sono negate agli usi popolari (perché trasformate in Case del Fascio) riaprono o se ne costruiscono di nuove. Nella maggior parte dei casi sono gli stessi cittadini e cittadine a fornire manodopera gratuita e volontaria per edificare quelli che ora più di prima, dopo le esperienze della dittatura nazifascista, dell’occupazione e della Resistenza, rappresentano simboli di democrazia, riscatto, emancipazione e laboratorio politico. Nell’Italia in rapido cambiamento della ricostruzione prima e del boom economico poi, della Guerra Fredda e degli anni di piombo, le Case del Popolo diventano – anche in seguito alla creazione dell’ARCI negli anni ‘50 – spazi per una cultura spesso alternativa a quella scolastica ed ecclesiastica, per il dibattito politico e per l’educazione, anche politica ma non solo, delle classi popolari. Oltre a sede di partito (comunista e socialista) e della CGIL, le Case del Popolo ospitano sempre una biblioteca, una sala per incontri politici e culturali, spesso un bar e spazi ricreativi per feste da ballo e momenti conviviali. Specialmente nei piccoli centri, dove l’offerta ricreativa e culturale è limitata, questi luoghi diventano poli attrattivi e condivisi dalla popolazione, presenze quotidiane, fucina di eventi (in particolare le feste di partito ma anche cineforum, presentazioni di libri) che scandiscono il tempo di vita della comunità tutta, in molti casi a prescindere dalle appartenenze politiche.

Vedute. Valle Volta, Massafiscaglia (FE). Foto di Rita Bertoncini
La Casa, il privato e intimo della Memoria.
Abitare di Cinzia Romagnoli

Che cos’è una casa? 

Una casa è un linguaggio con cui diamo nome e valore alle cose, ai ricordi, a noi stessi. 

Una casa è una certa idea di mondo. 

Case piccole, stamberghe, capanne, ville, monolocali e attici, tende, case di vacanza, case a schiera, case di periferia o in centro, abbandonate, occupate, commissariate, senzatetto, case sfrattate, case materne e paterne, case ambulanti, case distrutte, la casa dei nonni, il tetto coniugale, la cameretta da bambini, la prima casa da adulti, le case dei nostri amori. 

L’odore delle nostre case, unico tra tanti odori anonimi. 

Le case descrivono la nostra storia intima, privata e la società di cui siamo parte o da cui siamo esclusi, i nostri sogni di riconoscimento. Le case ci parlano del nostro modo di stare insieme, delle forme della famiglia e della collettività. Le case dividono il mondo tra chi ha diritto e chi non ne ha, tra chi possiede e chi non ha nulla. Tra chi può spostarsi e chi non lo può fare. Le case occupate e quelle nelle periferie sono la sismografia dei margini, raccontano chi paga il prezzo di ciò che altrove si chiama sviluppo. 

 

Ma tutte queste forme dell’abitare hanno in comune una cosa: la riproduzione e la manutenzione della vita privata che si vorrebbe lontana e protetta da quella civile, politica, economica. 

La casa oggi è il rifugio illusorio dal mondo esterno, complicato e veloce.

C’è stato un tempo in cui una certa casa non serviva per abitarci, per difendere uno spazio privato perché era la casa di tutti. Era il luogo di quell’operare, di quell’attività pratica, politica, che ci rende umani. Era la forma di un pensiero per cui non è possibile salvarsi da soli, senza la solidarietà altrui.

Era il luogo accogliente di tutti coloro che sognavano un miglioramento della propria condizione e un mondo più giusto. 

Era lo spazio del fare insieme, di un fare significativo che non fosse solo produrre e consumare ma essere liberi dallo sfruttamento. 

Era spazio di emancipazione, di educazione, di divertimento, di liberazione, il segno tangibile della cultura degli ultimi affinché nessun ultimo fosse più escluso. 

Questo luogo era la Casa del Popolo.

Foto di Rita Bertoncini
Fotografie provenienti dal fondo Archivio del CLN di Ferrara presso il Museo del Risorgimento e della Resistenza di Ferrara

Fotografie provenienti dal fondo ”Archivio del Comitato di Liberazione Nazionale di Ferrara” custodito presso il Museo del Risorgimento e della Resistenza di Ferrara e digitalizzate dall’Archivio di Stato di Ferrara per le quali si ringraziano Antonella Guarnieri e Davide Guarnieri.

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Foto di Rita Bertoncini

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La Memoria. Paesaggi.
Fotografie di Rita Bertoncini, testi di Cinzia Romagnoli

Queste case, che punteggiano la campagna e i paesi, 
attente custodi della memoria, 
che ne sarà di loro? 

Una casa resta una casa anche se non c’è più nessuno ad abitarla? 

Sapremo tenere insieme il passato e il futuro, quel “sogno di una cosa” delle donne 
e degli uomini che le hanno costruite, abitate, amate? 

Come l’anima, 
la memoria chiede braccia e piedi e mani e corpi per tracciare i suoi sentieri.
Per tenere ciò che serve.

Queste case
non più vive
non ancora morte
non memoriali delle grandi occasioni
né mete di pellegrinaggi
ci domandano ancora
chi siamo.

E nei silenzi
negli spazi vuoti
nella dignitosa, 
accesa malinconia
che ora le abita
pulsano della forza libera 
di ciò che non ha più forme
ma ne attende di nuove.

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Quattro elementi. Ritratti.
Fotografie di Rita Bertoncini e frames dal documentario di Rita Bertoncini e Cinzia Romagnoli

Viterbo Dal Passo, Ambrogio (FE)

“Un piccolo aneddoto… Quando ci siamo sposati io e mia moglie, il rinfresco…un piccolo rinfresco con una ventina di invitati lo abbiamo fatto, naturalmente, alla Casa del Popolo."

Sergio Felletti, Longastrino (FE)

“Qui con me ho una vecchia fotografia della Casa del Popolo di allora. Nella bandella c’è scritto Casa del Fascio e sul muro c’è scritto ‘IL CREDO DEL FASCISMO È UN CREDO EROICO”… Questa la dice tutta, ovviamente.”

Elvino Anteghini, Gambulaga (FE)

“Nel teatro vecchio, non c’era il bar, come invece adesso nei locali, che hanno la sala da ballo e il bar di fianco. Una volta si faceva il bar utilizzando delle assi di legno, su cui si appoggiava tutto…”

Maria Fuschini, Gambulaga (FE)

“La Casa del Popolo qui è sempre stata un punto di riferimento per parecchia gente, anche se per qualcuno forse no…Quando c’era ancora il cinema, al sabato abbiamo fatto dei pienoni…”.

Luciano Zappaterra, Cona (FE)

“La Casa del Popolo qui è stata costruita tra il 1959 e il 1963. Prima qui era tutta campagna a frutteto. Queste sono le schede di tutte le famiglie che si sono autotassate per trovare le risorse e poter costruire questa struttura in cui credevano.”

Zoro Gnani, Alberone (FE)

“Quando è caduto il Fascismo, siamo entrati nella vecchia Casa del Fascio…Perché non avevamo un posto dove andare a parlare, fare le riunioni e stare insieme. Così abbiamo fatto la Casa del Popolo.”

Lilia “Lucianina” Taroni, San Biagio d'Argenta (FE)

“Siamo sempre andati d’accordo. Era un periodo che si lavorava tanto, però era tutto bello. Si cantava e si era felici.”

Paola Lambertini, Pontelagoscuro (FE)

“I giovani del Partito Comunista avevano i pattini e lì, nella sala da ballo che era grandissima, mi hanno insegnato a pattinare.”

Guido Guidarelli, Pontelagoscuro (FE)

“Ho vissuto nel villaggio dei marchigiani e frequentavo il circolo ACLI, che dai ferraresi era ironicamente chiamata ‘la casetta in Canadà’, che tuttora è una Casa del Popolo.”

Giuseppe Ghelfi, Pontelagoscuro (FE)

“E lì abbiamo scoperto la vita. Non c’erano solo persone anziane, c’erano anche i giovani. E c’era la musica, di cui mi sono innamorato.”

Loreta Prampolini, Pontelagoscuro (FE)

“C’era una biblioteca che era gestita dalla mamma di Paola Lambertini. Libri di storia. Appena ne finivo uno, me ne dava subito un’altro.”

Loredano Ferrari, Barco (FE)

“E lì ho visto una generazione di persone che dagli adulti fino ai ragazzini erano la parte viva, che in tutto l’arco della giornata generava benessere.”

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Fotografie fornite dall'Archivio di Stato di Ferrara, Archivio CdP Cona (FE) e dai partecipanti al progetto

Le fotografie appartengono ad archivi privati e sono state gentilmente messe a disposizione dai partecipanti al progetto. In particolare si ringraziano: Lanfranca Ghesini, Guido Guidarelli, l’Archivio del P.C.I. Di Barco e Pontelagoscuro, Gianni Trentini, Sergio Felletti, Daniela Fuschini.

Si ringraziano

Elvino Anteghini, Ilaria Baraldi, Benedetta Bolognesi, Marisa Bonzagni, Franco Bottoni, Nadia Cai, Mario Caraccio, Sebastiano Caraccio, Davide Carnevale, Egidio Checcoli, Anna Chendi, Rita Cinti Luciani, Coro delle Mondine di Porporana, Viterbo dal Passo, Giuseppe De Vita, Alessandro Fabbri, Sergio Felletti, Loredano Ferrari, Giuliano Fiorini, Daniela Fuschini, Maria Fuschini, Giuseppe Ghelfi, Lanfranca Ghesini, Michela Ghirardelli, Zoro Gnani, Roberto Graziani, Davide Guarnieri, Guido Guidarelli, Paola Lambertini, Dante Leoni, Guerrino Medini, Michele Nani, Riccardo Nencini, Liviana Pambieri, Monica Pavan, Loreta Prampolini, Anna Quarzi, Roberto Romagnoli e il Centro Giovanile di Argenta, le studentesse e gli studenti del Liceo Statale “G.Carducci” e della Scuola Secondaria di I grado “G. Gonelli” di Mirabello – IC “Terre del Reno”, Lilia “Lucianina” Taroni, Gianni Trentini, Delfina Tromboni, Elena Vancini, Luciano Zappaterra, WuMing1

e tutte le altre persone che hanno contribuito
alla realizzazione del progetto.