“Cibo e innovazione sociale”: l’indagine di Fondazione Feltrinelli e CIRFOOD al salone della CSR Extra

Focus sui temi e i nuovi bisogni sociali, ambientali e alimentari dell’ultimo decennio: verso un modello partecipativo e di economia circolare per favorire il recovery del Paese. L’indagine “Cibo e innovazione sociale”, esito del percorso di ricerca condotto da Fondazione Feltrinelli in collaborazione con l’Osservatorio permanente CIRFOOD, presentata all’interno del Salone EXTRA della CSR, mostra uno spaccato sui bisogni sociali emergenti, parte integrante dell’Agenda ONU 2030. Da qui, alla luce dell’attuale contesto in cui l’intera società e il sistema economico si trovano, emerge la necessità di condividere una nuova visione su come affrontare le sfide presenti e future messe in evidenza: la pandemia ha infatti impattato sugli stili di vita e di consumo degli italiani, acuendo situazioni di difficoltà preesistenti che hanno spinto gli attori impegnati nel settore del food, della ristorazione e dell’educazione, verso lo studio di nuove soluzioni, più efficienti e sostenibili per rispondere ai bisogni sociali, territoriali ed educativi emergenti.

“L’Osservatorio permanente CIRFOOD si pone l’obiettivo di comprendere i bisogni e le richieste della società nel suo complesso, per nutrire il futuro di visioni, idee e prospettive, al fine di garantire a tutta la società uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, ambientale, sociale e culturale. Oggi più che mai ci rendiamo conto che fare ricerca con uno sguardo di lungo periodo e di visione è fondamentale per sviluppare risposte concrete sui temi della salute e del benessere. La pandemia non ha fatto altro che accrescere situazioni di difficoltà, peraltro già esistenti, spingendo gli attori impegnati nel settore food ad accelerare la progettazione di soluzioni innovative e sostenibili, capaci di garantire un’alimentazione sana e bilanciata da una parte, e ridurre l’impatto sull’ambiente dall’altra” – ha spiegato Maria Elena Manzini, CSR Manager CIRFOOD.

Contrastare la crescente malnutrizione non significa solo combattere la denutrizione, ma anche una alimentazione scorretta. Come rilevato dall’indagine, il tasso di persone sovrappeso in Italia è del 54,6% per gli uomini e del 36,1% per le donne; il tasso obesità è dell’11,3% per gli uomini e del 10,3% per le donne. Parallelamente sono ancora troppi i bambini che non accedono ad una alimentazione equilibrata, garantita all’interno del servizio di ristorazione scolastica: in Sicilia non accede alla mensa l’81,05% degli alunni, in Molise l’80,29%, in Puglia il 74,11%, in Campania il 66,64% e in Calabria il 63,78%. Infine, secondo gli ultimi dati di Save the Children, in Italia entro la fine dell’anno, 1 milione di minori in più potrebbe scivolare nella povertà assoluta, il doppio rispetto a quelli del 2019.

L’indagine ha quindi messo in evidenza l’importanza di mettere al centro i bisogni delle persone, massimizzando i benefici nel rispetto delle risorse e implementando un welfare che sia sinergico con il welfare pubblico e contrattuale, non sostitutivo. Che parli di salute in senso stretto, ma soprattutto di innovazione sociale: occorre saper guardare oltre il mero elenco di servizi e prestazioni, cercando di cogliere il reale bisogno del singolo e supportarlo nell’individuare la soluzione e il servizio più congeniale.

Una grande sfida che passa anche attraverso lo sviluppo di una ristorazione collettiva capace di offrire proposte nutrizionali innovative e sostenibili, adeguate ai diversi bisogni, da quelli del lavoratore in pausa pranzo a quelli del bambino a scuola o del degente in ospedale. Il servizio mensa garantito è infatti un diritto fondamentale e i mesi di lockdown lo hanno confermato. In particolare, la chiusura delle scuole ha generato un vero shock per il sistema perché ai bambini sono venuti a mancare i benefici che il servizio di ristorazione comporta: attenzione ad una nutrizione sana ed equilibrata, la conoscenza del cibo, il momento di socialità, la scoperta e la valorizzazione del gusto, l’importanza di comportamenti responsabili contro lo spreco alimentare. In quest’ottica è nato il progetto “Nutriamo la Scuola”, in collaborazione con Officina Educativa, servizi educativi territoriali e diritto allo studio del Comune di Reggio Emilia, e l’Università degli Studi di scienze gastronomiche di Pollenzo, sperimentazione incentrata sull’osservazione di diverse variabili legate al servizio di ristorazione scolastica, anticipando problemi e soluzioni in vista del rientro a scuola, e sull’immaginare e assaggiare il cibo del futuro sensibilizzando i bambini ai temi ambientali.

Occuparsi di ristorazione scolastica oggi più che mai, significa anche affrontare il tema della vulnerabilità economica. Garantire a tutti un pasto di qualità e accessibile è un dovere che le istituzioni hanno riconosciuto nel tempo come fondamentale. La strada da fare è tuttavia ancora lunga. E mentre si assiste a un aumento della povertà, allo stesso tempo aumentano gli sprechi e il conseguente costo sociale derivante dallo sfruttamento del pianeta.

La ricerca ha rilevato come in Italia si sprechino 27,5kg di cibo all’anno per persona, mentre lo spreco alimentare di un punto vendita si aggira intorno alle 220.000 tonnellate all’anno, che corrispondono a circa 2,89kg all’anno per persona. L’esperienza del lockdown però ha portato le famiglie italiane a interrogarsi su come le proprie scelte in termini di alimentazione, acquisto e conservazione del cibo impattano sul proprio bilancio familiare sia sull’ambiente circostante.

Le grandi imprese della ristorazione, ora più che mai, devono cogliere quindi questa sfida e farsi promotrici di un’innovazione su tutta la filiera, che permetta un vero sviluppo della green economy, sostenibile sia sotto il profilo economico che sotto il profilo aziendale. Serve la capacità di innovare compiendo una transizione dallo sfruttamento di risorse finite al massimo utilizzo possibile di risorse rinnovabili. Solo così potremo evitare nuove povertà derivanti dai cambiamenti climatici, ragionando in ottica intergenerazionale, non egoistica.” – ha proseguito Maria Elena Manzini.

Per CIRFOOD, un modello basato sull’Economia Circolare è l’unico possibile per ripensare i propri modelli di ristorazione, dalla produzione fino al servizio, valutando l’intero ciclo di vita dei prodotti per arrivare a un sistema a sprechi zero e totalmente sostenibile. Per questo motivo CIRFOOD ha implementato sistemi di programmazione, ottimizzazione del magazzino, formazione del personale, di gestione delle eccedenze produttive e strumenti innovativi di misurazione e analisi. In coerenza con questo percorso, l’impresa ha scelto di aderire all’Alleanza Circolare, insieme a 17 grandi imprese tra le più importanti nei rispettivi settori.

Da anni, in linea con l’obiettivo della lotta alla fame (numero 2) e del consumo responsabile (numero 12) dell’Agenda 2030, CIRFOOD recupera i pasti non consumati o non distribuiti, ma ancora commestibili e li dona ad enti caritatevoli del territorio per perseguire un duplice scopo: evitare gli sprechi alimentari e dare un contributo concreto alle famiglie in difficoltà. Nel 2019 sono stati donati oltre 76mila pietanze e 2 tonnellate di alimenti.

Inoltre, da settembre 2019, nella piattaforma logistica centralizzata Quanta Stock and Go, che serve in esclusiva CIRFOOD, è attivo il progetto Azione Solidale, in collaborazione con Associazione Solidarietà, per recuperare materie prime che per varie ragioni (l’eccedenza di prodotto o l’approssimarsi della data di scadenza) non possono essere utilizzate dalle cucine. I prodotti sono distribuiti tra diverse associazioni del territorio, impegnate nella lotta alla povertà tra cui gli Empori Solidali (es. Emporio Dora di Reggio Emilia, citato nella ricerca), mense dei poveri, Caritas, parrocchie, garantendo in questo modo il diritto a un’alimentazione sana e generando al contempo un alto valore sociale. Dalla piattaforma Quanta Stock and Go sono stati devoluti (da gennaio a settembre 2020) 5000 kg di alimenti, questo anche a causa della chiusura di diverse strutture per la pandemia. Di questi alimenti hanno beneficiato circa 500 famiglie, valorizzando la valenza di una “solidarietà cittadina” che vede la collaborazione tra istituzioni locali, associazioni, gruppi di volontari, imprese pubbliche e private. La collaborazione permette di raggiungere due obiettivi: evitare lo spreco di alimenti ancora commestibili, e sostenere le realtà del territorio impegnate nel garantire a tutti il diritto ad un’alimentazione sana, generando un alto valore sociale.

“Non esiste una soluzione valida universalmente. È il momento per aziende, istituzioni e cittadini di collaborare attivamente per favorire una ripartenza orientata a uno sviluppo economico che, per essere tale, deve essere anche sostenibile, da un punto di vista sociale e ambientale, a beneficio di un modello di economia circolare e rigenerativa per il bene del nostro pianeta e delle future generazioni”. – ha concluso Maria Elena Manzini.

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