Cooperativa Castello, una comunità di abitanti 
Illustrazione di Laura Massaro, storia di Stefania Andreotti
				
															La Castello è una cooperativa di abitanti di Legacoop, nata a Ferrara nel 1971 per rispondere alla crescente domanda di case dovuta alla crescita demografica delle città e alla migrazione dalle campagne negli anni ’60. Per contrastare la conseguente speculazione edilizia, le persone si sono associate con lo scopo di edificare immobili alle migliori condizioni di mercato, con l’apporto economico diretto dei soci e di finanziamenti bancari assistiti da contributi pubblici. La cooperazione ha permesso di rendere concreto il sogno di una casa, una famiglia, una vita in comunità. Oggi, la società è cambiata e con lei la popolazione dei caseggiati che si trovano a Ferrara, Comacchio, Porto Garibaldi e Copparo: 1.059 soci, 731 appartamenti distribuiti in 24 complessi condominiali, 56% donne, 93% italiani, in prevalenza anziani. Ma lo scopo resta lo stesso, far vivere meglio le persone. Per capire come questo sia possibile, abbiamo incontrato gli abitanti di via Medini, nel quartiere Doro di Ferrara. Abbiamo ascoltato i loro racconti, siamo entrati nelle loro case e nei loro spazi condivisi, dove le panchine vengono aggiunte invece che tolte. Negli uffici amministrativi della cooperativa, nello sportello di ascolto, nello studio medico Julian Tudor Hart.
Nel rispetto della privacy, di seguito abbiamo rimescolato storie e nomi, ma mantenuto la verità che ci è stata affidata: una città ideale è possibile, basta creare le condizioni perché accada.
La città ideale
di Stefania Andreotti
				Maria e Luisa 
“Qui nessuno è mai solo, neanche se vuole”, scherza Maria, seduta accanto a Luisa sulla panchina sotto casa. Attorno a loro c’è un silenzio rotto solo dalle cicale, ma, di lì a poco il viale inizia a popolarsi di abitanti. Finché la stagione lo permette, è sempre così, complice il fresco dei giardini alberati lungo tutta via Medini, 150 metri di strada, una città ideale appena fuori le mura di Ferrara, fatta di affitti calmierati, condivisione, verde pubblico, solidarietà e servizi garantiti.
“Abbiamo 77 anni siamo coetanee, ma prima non ci conoscevamo. Lei è vedova, io sono divorziata, perché stavo con un cretino e a un bel momento ho pensato che fosse meglio stare da sola e godermi la vita che mi rimane, tranquilla. Adesso quando ho voglia di compagnia vengo giù e c’è sempre qualcuno con cui intrattenersi sulle ricette, sul tempo, ma mai pettegolezzi sugli altri. Non ci interessa sparlare. Poi ad una certa ora, quando mi stanco, torno su, chiudo la porta e buonanotte”. Bella la socialità, ma anche la tranquillità domestica ha il suo valore, fa bene intendere Maria. E nel complesso abitativo della cooperativa Castello si possono trovare entrambe le cose. Un tetto e una vita dignitosa, anche per anziani, donne sole e stranieri, che qui sono la maggioranza.
Toni
“Io sono un ragazzo di 87 anni – scherza Antonio, detto Toni – sono arrivato qui per necessità e sono rimasto per scelta. Da ragazzo stavo in campagna, poi ho trovato lavoro al polo industriale qui vicino e, grazie a questa opportunità, sono riuscito a trasferirmi in città. Da qui potevo andare in fabbrica con la bicicletta, perché avevo appena i soldi per la casa, figuriamoci l’auto. In questi anni ho trovato più che dei vicini, dei veri amici. Abbiamo verde dappertutto e servizi vicini. C’è la fermata dell’autobus, il supermercato e un ambulatorio medico di comunità che è il più all’avanguardia della città. Chi ce lo fa fare alla nostra età di andare via?”
Gianni
“Quando è nata mia figlia, nel ’79, mia moglie ed io vivevamo divisi, ognuno a casa dei suoi, perché non avevamo soldi per una casa nostra. Quell’anno la cooperativa Castello ha costruito questi condomini per la gente come noi che, pur avendo un lavoro, non riusciva a mettere da parte abbastanza soldi per un affitto o un mutuo. Un po’ come succede adesso, purtroppo. Qui, versando una quota iniziale accessibile, abbiamo avuto il nostro appartamento, e siamo diventati a tutti gli effetti una famiglia”. Ancora si commuove Gianni a ricordare i suoi vent’anni: difficili, ma pieni di soddisfazioni.
Vanni e i panchinari
“Vieni Vanni che ci intervistano” in tre sono già seduti ai loro posti sulla panchina, manca il quarto. “Basta che non sia Libero, il Giornale o la Verità. Io parlo solo con la Repubblica, il Domani e il Manifesto”, ci tiene a chiarire Vanni, sedendosi accanto a loro. “Noi siamo i panchinari. Ci mettiamo qui un’oretta la mattina, poi torniamo al pomeriggio. Facciamo le nostre chiacchiere. Parliamo della Spal, anzi no scusa Arsss et Laborrr – dice sottolineando le consonanti, e ridono tutti, per non piangere delle tristi vicende della squadra di calcio ferrarese – parliamo anche di politica, e se ci arrabbiamo, allora passiamo alla roba da mangiare, che quella mette d’accordo tutti”. “Coi leghisti discutiamo, ma tra noi andiamo d’accordo” vuole sempre precisare Vanni, che da ex ferroviere ed ex sindacalista, non perdona nessuno. Tramvieri, metalmeccanici, operaie agricole, operatrici sanitarie qui c’è tutta una classe lavoratrice che negli anni Settanta ha potuto coronare il sogno di avere una propria abitazione grazie alla proprietà indivisa, non un’edilizia popolare, destinata a redditi più bassi, ma cooperativa, che oltre alle quattro mura ha pensato anche alle quattro chiacchiere, per garantire una vita degna, fino alla fine.
Chiara
“Per quarant’anni ho vissuto nel centro storico della città, bellissimo per carità, ma mancava qualcosa. Il senso di umanità, di prossimità che c’è qui non si trova altrove. Non è vicinato, è vicinanza. Qualcosa di simile alle comuni dove ho vissuto da ragazza negli anni ’90. Qui se vuoi puoi condividere spazi e tempo, ma puoi anche goderti il tuo privato”. Chiara vive in via Medini da dieci anni e ci sta bene, non rimpiange la vita in centro. “Da qui in bici posso arrivare comodamente a scuola dove insegno. Certo bisogna saper stare in un bilocale con il bagno cieco, ma sapendosi adattare, alla fine ti innamori”.
Miro e Rina
“Prendila, prendila, sta salendo sull’albero”. Urla Kateryna, detta Rina, dopo aver lanciato la palla contro la siepe per stanare una lucertola, che cerca disperatamente la via di fuga lungo il tronco di uno dei tigli. Ma Amir, ribattezzato Miro dagli abitanti del posto abituati a tradurre in versione locale i nomi stranieri, è più veloce del piccolo rettile, lo acchiappa e lo chiude delicatamente nella mano per portarlo fieramente in dono a Rina. Lei ha otto anni è biondissima con gli occhi azzurri, è arrivata dall’Ucraina con la mamma quando è scoppiata la guerra e qui ha trovato un po’ di pace. Lui è la terza generazione di emigrati dal Marocco, figlio di quella manodopera che cinquant’anni fa ha contribuito a costruire le case dove poi sono rimasti ad abitare. Rina e Miro sono migliori amici, i loro pomeriggi sono fatti di avventure, giochi e rincorse lungo la via, finché qualcuno non intima loro di salire in casa a fare i compiti. Sotto gli occhi vigili e bonari dei tanti nonni di via Medini che tollerano i loro schiamazzi e non li perdono mai di vista.
Gina
“Ogni tanto sposto il divano, giro l’armadio, faccio un po’ di cambiamenti, quando mio marito torna resta fermo sulla porta e chiede se ha sbagliato casa”, sogghigna Gina, 80 anni portati splendidamente, un concentrato di energia e buon umore, piena di voglia di novità, che esprime riarredando casa. Una cosa però resta sempre uguale. “Da ogni angolo devo poter vedere fuori, il parco, il verde, le persone che passano”. E questo non manca dalle ampie finestre, da cui entra luce e vita. Sul comò le foto dei figli ormai grandi. “Adesso questa casa è tutta per noi, le siamo troppo affezionati per andarcene, e poi è al piano terra, siamo comodi con tutto e ci sentiamo sicuri, mai soli”. Dice, mentre sta già pensando ad una nuova collocazione per il tavolo della cucina.
Angela
“Ho comprato i piatti di carta perché siamo tanti, ma li ho presi dorati, perché anche se compie cento anni, mia mamma resta una regina”. Angela sta allestendo la sala ricreativa di via Medini perché il giorno dopo la mamma raggiungerà l’ambito traguardo del secolo di vita. “Sono in pensiero perché lei è molto esigente e si aspetta che tutto sia all’altezza dell’occasione” dice affaccendandosi tra tovaglie di lino e centrini di pizzo. “Avremo la musica, i fiori, i palloncini, verranno parenti e vicini, ci sarà anche l’assessore per consegnare una targa, siamo tutti molto emozionati”, e corre a mettere le bibite in frigo. Le feste comunitarie non sono una novità per gli abitanti, ci sono diverse occasioni in cui si uniscono tutti per mangiare, ballare e divertirsi assieme, come è successo con la tavolata di Ferragosto, a cui hanno partecipato in 150. Ognuno ha portato qualcosa, ci si è divisi i compiti e ne è uscita una giornata indimenticabile, anche per chi non poteva andare al mare.
Franca
Quando c’è da organizzare eventi e mettere a tavola le persone, Franca è sempre coinvolta. È anche grazie a lei che dal lunedì al venerdì nella sala incontro le persone che vivono sole, possono mangiare tutte assieme. “Per qualcuno il pranzo è il momento in cui si sente di più la solitudine, se stiamo qui insieme, si affronta meglio, ci si distrae, e passa la tristezza”. Poi si può restare a giocare a carte – bridge e burraco vanno per la maggiore – ma si fanno anche corsi di cucito e altre attività creative di intrattenimento, per alleggerire i pensieri e il passare del tempo.
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