La Città degli Alberi di Bosco Albergati: un disegno vivente
Storia di Frederic Argazzi,
illustrazione di Luca Zamoc

Nel cuore della pianura emiliana, tra Castelfranco e Manzolino, c’è un bosco che chiamano la Città degli Alberi. Non è solo un nome suggestivo: si tratta proprio di uno spazio organizzato a misura degli alberi, dove tutto ruota intorno alla loro presenza. Questo progetto nasce dall’incontro tra l’architetto Cesare Leonardi e un gruppo di volontari attivi a Bosco Albergati, alcuni dei quali facevano parte della Cooperativa Braccianti di Manzolino. È un caso raro in cui una visione paesaggistica si è potuta realizzare senza compromessi, grazie a un’intesa concreta tra cultura progettuale e attivismo cooperativo.
I braccianti di Manzolino si erano uniti nel dopoguerra in cooperativa: da soli non avrebbero potuto permettersi i terreni o affrontare i costi delle sementi e dei concimi. Insieme possono acquistare a prezzi più equi, sostenersi nel lavoro e accedere alle terre che erano rimaste incolte.
La Cooperativa Braccianti e Terrazzieri di Manzolino, che nel frattempo era molto cresciuta, può così acquistare all’inizio degli anni Settanta grazie alla legge di riforma agraria “Gullo-Segni” i terreni agricoli attorno alle rovine di Villa Albergati, abbandonata dai proprietari dopo un dissesto economico. Il bosco presente nel cuore della tenuta, che non serviva alla produzione agricola, viene lasciato com’è.
Negli anni Ottanta la zona inizia ad animarsi grazie alle Feste dell’Unità organizzate dai volontari. L’affluenza è tantissima, anche grazie all’ampia area parcheggio, e si capisce che quel luogo ha un potenziale enorme. A quel punto la cooperativa e la SIM, società immobiliare collegata al Partito Comunista, decidono di coinvolgere Leonardi, già noto per i suoi progetti di spazi pubblici legati alle Feste dell’Unità di Modena.
Leonardi era architetto, urbanista, fotografo, pittore e scultore: una personalità fortissima e fuori dagli schemi. Aveva lavorato a lungo con Franca Stagi, progettando oggetti di design come la celebre poltrona “Nastro”, parchi pubblici e spazi collettivi. Insieme avevano realizzato anche L’architettura degli alberi, un manuale per progettare parchi che viene ancora pubblicato in tutto il mondo. Il libro esplora minuziosamente attraverso il disegno tantissime specie di albero rilevando per ciascuna l’altezza, l’ombra proiettata, il colore della chioma nelle diverse stagioni: il risultato di anni di osservazioni botaniche, fotografie e misurazioni.
Lo spazio pubblico era inteso da Leonardi come un luogo caratterizzato dalla presenza degli alberi, progettato per il loro benessere, con oggetti e strutture funzionali all’uomo, ma senza ingerenze nei confronti della natura. Un luogo di pacifica convivenza tra noi e gli alberi.
Dopo alcune esperienze frustranti, come quella del Parco Amendola di Modena, in cui questo cambio di prospettiva non aveva trovato piena applicazione per una serie di circostanze poco favorevoli, sentì il bisogno di cambiare metodo progettuale.
Così nacque la SRA: Struttura Reticolare Acentrata. L’idea gli venne osservando i disegni mimetici degli aerei da combattimento della Prima guerra mondiale: motivi irregolari, composti di poligoni, nodi e linee. Applicata a un parco, questa trama diventava un sistema in cui ogni nodo è un punto per un albero, e le aste che li uniscono sono i percorsi. Non c’è un centro, non c’è una gerarchia: è un sistema aperto, una struttura che si adatta, in cui ogni parte può crescere o cambiare senza rompere l’equilibrio. È un modo per progettare che non impone, ma accompagna.
La Città degli Alberi rimarrà l’unica applicazione concreta della SRA. La struttura è visibile chiaramente se si osserva una foto aerea del parco. Ma se ci cammini dentro, sembra di essere in un bosco naturale: le geometrie si perdono tra le fronde.
Nel 1988, Leonardi elabora il progetto esecutivo. Viene realizzato un vivaio con seimila piantine. Dopo circa cinque anni si procede con la piantumazione vera e propria. Il lavoro è meticoloso: ci sono squadre per tracciare le aste, per trasportare e mettere a dimora le piante. Le querce sono protagoniste: costituivano già il cuore dell’antico parco di Villa Albergati, e vengono ora posizionate all’altezza dei nodi della SRA.
L’architetto è sempre presente: visita il cantiere due volte a settimana, propone modifiche, si appassiona. Arriva a desiderare di trasferirsi in una roulotte per seguire i lavori da vicino.
Il disegno prevede una suddivisione molto precisa: il bosco storico viene circondato da querce piramidali per proteggerlo, la zona vicino alla villa è pensata per ospitare la festa, e altre aree servono da parcheggio solo durante gli eventi. Tutto il resto rimane dedicato agli alberi. L’idea di fondo è semplice: gli usi temporanei sono permessi, ma il bosco deve potersi rigenerare sempre. Il parco è la struttura fissa, la festa è l’eccezione.
Oggi, a distanza di trent'anni, si può capire il senso del progetto.
La Città degli Alberi è diventata un laboratorio verde: ci sono più di cinquanta specie di alberi e settanta di arbusti. Molte sono state piantate mentre altre sono arrivate da sole, portate dal vento o dagli animali.
Il parco è diventato anche un punto di osservazione ideale degli effetti del cambiamento climatico: si vedono chiaramente le piante che resistono meglio alla siccità e quelle che soffrono di più. Per esempio i tigli e i castagni fanno fatica se troppo esposti, mentre il cipresso calvo e il tulipifero, scelti da Leonardi, si adattano bene.
Natalino Bergonzini, che già fu responsabile di quelle Feste dell’Unità e oggi presiede l’associazione che dopo vari passaggi ha raccolto l’eredità della Città degli Alberi, racconta che il bosco è come una biblioteca vivente: ci sono anche piante che non sarebbero state considerate autoctone trent’anni fa, se pur presenti nei giardini delle grandi ville. E osserva che la manutenzione del parco è più semplice nei punti progettati da Leonardi che non in quelli originali intorno alla villa. Gli alberi sono stati piantati alla giusta distanza e non si disturbano.
Gestire la Città degli Alberi non è facile. Il mutuo acceso per riacquistare l’area è gravoso, e le risorse per la manutenzione sono limitate. I volontari però non si sono mai fermati: ogni anno organizzano serate, visite guidate, iniziative culturali. Tra queste le serate Crepuscolo, in cui si passeggia nel bosco al tramonto, ascoltando storie, teatro e musica.
Ora è importante ragionare su come garantire un futuro al progetto: magari trasformando il rudere della villa in un ostello per i giovani, o coinvolgendo le università in studi ambientali.
Qualsiasi soluzione dovrà comunque rispettare un principio fondamentale, come ricorda lo stesso Bergonzini: «Non è un parco ornamentale. Non è uno spazio a servizio di altro. È la Città degli Alberi: una visione dove la natura è centrale e l’uomo si mette un passo indietro».
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