Quel Cinema nel Parco che ci somiglia
Storia di Clelia Antolini, illustrazione di Claudio Gualandi.

Nel paese di mia nonna non c’era il cinema.
Non c’era nemmeno la tv; neanche più tardi, quando mia mamma era bambina e la televisione aveva già invaso le case di città. Mancava solo lassù.
Da piccola mi sembrava così strano che spesso le chiedevo di raccontarmi ‘come facessero senza i film’, che a casa mia sono sempre stati un’abitudine, dei piccoli viaggi serali per imparare nuovi mondi. Mia nonna sorrideva, scambiava uno sguardo complice con mia mamma, e mi diceva ‘Ci inventavamo noi il nostro cinema, all’aperto’.
Ognuno saliva lungo la strada principale con la sua sedia, raccontava nonna. L’appuntamento era al calar del sole, in un giardino privato sufficientemente grande. Un telo e un proiettore erano già in posizione. Una volta seduto tutto il paese, la Mirella – prima, e poi suo figlio Gianluigi quando il proiettore era diventato ‘uno strafiere troppo complicato’ – faceva partire la proiezione di un film già visto e rivisto, ma che tutti guardavano di nuovo con piacere.
Le risate risuonavano nella valle. Qualcuno ascoltava dalla finestra, qualche bambino o bambina non ammessi di persona al grande evento. Un intero paese celebrava un rituale così intimo, e collettivo allo stesso tempo.
Io non sono cresciuta lassù: sono nata a Ferrara e il tempo passato al paese era quello delle mie vacanze. Prima che nascessi io, nella cittadina più vicina avevano già aperto un cinema vero, e l’abitudine del borgo si era ormai persa. I racconti di mia nonna, però, la tenevano viva nella mia testa. Immaginavo i volti appena illuminati dai bagliori della pellicola. Gli occhi fissi sugli schermi mentre le mani pescavano manciate di popcorn dalle ciotole di plastica. Sullo sfondo, dietro la platea, i primi alberi del bosco collinare. Mi sembrava una fotografia perfetta che, da ragazzina di città, mai e poi mai mi sarei immaginata di poter scattare.
Dall’emozione, non mi ricordo nemmeno che film proiettassero, il giorno della mia prima volta in Arena. Posso descrivere invece alla perfezione la mia sensazione al primo passo oltre il cancello del Parco Pareschi. Mi sono sentita parte di un rito così familiare, nuova testimone di tradizioni lontane; e poco importava se le seggiole fossero tutte uguali e composte, se il film fosse appena uscito nelle sale tradizionali, se a far partire la proiezione non fosse la Mirella ma un vero e proprio operatore, io mi sentivo nel giardino dei Pedretti con tutto il resto del borgo, tranne i più piccoli.
Sentivo le parole di mia nonna mentre compravo un sacchetto di patatine ‘… ognuno portava qualcosa – tutte cose che potevamo mangiare con le mani eh – e si mangiava con gli occhi incollati al film’. Guardavo un ragazzo sbracciarsi per far vedere agli amici che stava tenendo loro i posti, e immaginavo il papà del mio amico Andrea, che da giovane non mancava una serata-cinema, con la sua seggiola di gomma gialla, così comoda da fare invidia. Stavo rivivendo quella piccola magia lontana, nella mia città.
Sono quasi vent’anni che il nostro cinema all’aperto completa l’estate ferrarese, e non l’ho mai ringraziato abbastanza.
Oggi ho costruito la mia tradizione – il mio orario, il mio posto, le mie patatine, i soliti saluti -, ma una parte di me non smetterà mai di notare piccoli particolari che assomigliano a quelli dei racconti di famiglia. Siamo testimoni del tempo che passa e cambia le carte in tavola senza stravolgere il gioco. Forse non ci accorgiamo quanto assomigliamo ancora ai nostri nonni, nelle emozioni più radicate, nelle abitudini più difficili da modificare. Persi nella velocità ingestibile del nostro quotidiano, per non perdere un colpo di un ritmo che non abbiamo deciso noi, ci lasciamo andare verso la sera sognando di poterci godere tre o quattro puntate di una serie tv. Ci sentiamo così sicuri nelle comodità casalinghe del nostro tempo, e poi capita di sentire un gruppo di ventenni dire ‘Ma quanto si sta bene in un parco a vedere un film?’, uscendo dall’Arena.
Io arrivo sempre in ritardo, nella tradizione che condivido con il Parco Pareschi. Qualche volta rallento apposta per sentire da fuori le prime note della pellicola. Cammino piano, godendomi la mia impazienza; spio attraverso il cancello laterale per vedere quel bagliore che illumina i volti. Quando entro mi rilasso nella penombra della platea, però scelgo spesso di restare in disparte, su una panchina. Qualche volta sogno di essere al centro di Central Park; altre volte mi piace sapere di essere nella mia città. Il mio cane – ben accetto e ormai un po’ famoso -, si acciambella al mio fianco e sonnecchia, quando il film non è di suo gradimento. A volte lascio il Parco poco prima che il film finisca perché le luci di servizio non rompano la mia bolla perfetta. Mi allontano nella penombra, come facevano al borgo quando si salutavano sottovoce per non disturbare i bimbi addormentati.
Dopo tanti anni, ancora mi sorprende la sensazione di leggerezza che solo l’Arena sa darmi. Il cane trotterella a pochi passi da me mentre torno a casa, e mi sembra persino di sentire qualche brivido di freddo estivo nell’afa insopportabile della nostra Ferrara. Un nuovo viaggio, una storia da raccontare agli amici, che inizia con ‘Ho visto un film bellissimo l’altra sera all’Arena. Parla di …’; e mentre improvviso una sinossi, attenta a non rivelare particolari rischiosi, fatico a non includere i particolari del contesto. ‘Il cane ha trovato un ramo dietro alla panchina, e continuava a mollarmelo sulle ginocchia perché glielo lanciassi, ti immagini?’.
Non è mai solo un film quello che si guarda tra quelle mura. Se il cinema è il vagone di un treno, diretto ogni volta verso destinazioni impensabili, l’Arena è il ponte di una nave che aggiunge al viaggio l’odore fresco dell’aria notturna; è un giardino sufficientemente grande messo a disposizione della comunità da un gruppo di persone che l’hanno a cuore. Le foglie mosse dal vento arricchiscono la colonna sonora, così come il profumo dell’erba aggiunge un dettaglio alle scene all’aperto.
Mia nonna non è mai stata all’Arena Coop Alleanza 3.0, ma sono riuscita a farmi accompagnare spesso dalla mia mamma. Il suo sorriso è sempre così sincero quando ci sediamo su quella panchina, come se rivivesse i ricordi che ha la fortuna di portare nel cuore. Silenti spettatrici di questa comunità preziosa, guardiamo la platea da un lato, e i ragazzi di Arci sbrigare le loro faccende dall’altro. Spero sappiano il regalo che continuano a farci; spero lo sappiano Coop Alleanza 3.0 e le altre cooperative associate a Legacoop Estense che sostengono con determinazione questa insostituibile tradizione.
Tra le mura del Parco succede una magia, ma qui i maghi sono tanti e il trucco è la forza della cooperazione.
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