Una storia nella storia: l’assalto del Salumificio Frigieri
Storia di Vanni Bulgarelli, illustrazione di Arianna Farricella

A 80 ani dall’assalto del Salumificio Frigieri futura sede di Salumifici Gran Terre 

Il furgone rosso attende nel piazzale che il carico sia completato. Un bimbo di nove anni guarda le  ceste con la carne avvolta nella carta bianca, che un robusto signore solleva e dispone sul mezzo.  Tutto ora è pronto. Altri alimenti sono stati altrove già prelevati e inizia il giro per rifornire gli spacci  cooperativi della zona. Una ordinata attività attraversa ora il piazzale. Quindici anni prima quel piazzale e la campagna intorno erano pervasi, tra entusiasmo e paura della reazione fascista, da voci  concitate, da spari e bombe di aerei alleati. E’ l’8 marzo del 1945 e tremila donne, tante giovanissime, 

organizzate nei Comitati di difesa della donna, appoggiate dai partigiani, vanno all’assalto del  Salumificio Frigieri di Paganine al grido di pane, pace, libertà per impedire che i prodotti vengano razziati dai nazifascisti. Ne prelevano 30 quintali e li distribuiscono alla popolazione e ai partigiani. L’azione è ideata e guidata da due giovanissime partigiane: Gabriella Rossi “Carla” e da Ibes Pioli  “Rina”. Sanno che i prodotti del salumificio finiranno all’esercito tedesco che dall’8 settembre 1943  occupa l’Italia. La penuria di alimenti e soprattutto di grassi, razionati o inghiottiti dal mercato nero  e più spesso requisiti da fascisti e tedeschi, mette alla fame e alla disperazione migliaia di famiglie e  le donne sono le prime a preoccuparsi di come procurare il cibo quotidiano. Comincia con incontri e  riunioni clandestine la preparazione della manifestazione tra timori e voglia di combattere. I lavoratori  del salumificio sono informati e assecondano il prelievo. “Non c’era podio, due compagne ressero la  bicicletta, montai sui pedali e man mano che arrivavano le donne, parlavo”, racconta “Rina”. E’ una  azione che può costare la vita a chi partecipa. E’ una giornata epica e l’eco dell’impresa vale la  battaglia. Anche in questo modo le donne sono protagoniste della Resistenza.

La guerra sta per finire, ci saranno ancora morti, ci saranno altri sacrifici: quelli della Ricostruzione.
La Liberazione ha portato la pace, ma la libertà, la democrazia, la giustizia sociale sono ancora beni precari.

Nelle fabbriche, nei campi le donne, gli operai, i contadini, i mezzadri, i partigiani hanno  lottato e difeso anche il patrimonio industriale e agro-zootecnico, indispensabili il nuovo futuro.  L’economia è distrutta, tutto è da rifare, da reinventare perché non si può tornare a prima della guerra.  Il futuro è ignoto, ma è là che si deve andare e chi ha combattuto per una Italia nuova sente il dovere  di non tradire chi ha dato la vita per quel futuro. 

A 17 anni quel signore militava nelle brigate partigiane e ora provvede a rifornire i negozi cooperativi. Alcuni anni dopo entra nel mondo della cooperazione, che sarà per sempre il suo mondo. Lo fa un  mese prima della nascita del bambino, che lo accompagna e cresce nella stessa cultura etica. Sono  infatti le giovani e i giovani combattenti i protagonisti di una rivoluzione sociale, economica e  culturale. Non era forse quella di cui si discuteva nelle sezioni di partito e prima ancora nelle brigate  partigiane, ma è una rivoluzione democratica, che ha nel lavoro il suo fondamento. Sono i partigiani  che, tra difficoltà e amarezze, cercano nel primo dopoguerra di costruire la propria vita e quella di un  intero Paese tradito e distrutto dal fascismo. Sono partigiani i ragazzi che creano nuove cooperative  di trasporto, sono le donne che si organizzano in cooperativa per produrre cappelli e lavori di sartoria. Sono i resistenti che danno vita al Corpo dei Volontari della Ricostruzione

Nel primo dopoguerra l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha il compito di aiutare i  partigiani, le loro famiglie, soprattutto quelle dei caduti, dei feriti e lo fa sostenendo, anche  economicamente, nuove cooperative. Il lavoro sociale si riorganizza, gli operai si fanno imprenditori  di se stessi, insieme secondo lo spirito mutualistico e solidaristico, che aveva guidato la cooperazione  di fine Ottocento e che il fascismo aveva cercato di sradicare. Sono mezzadri, operai e partigiani  quelli che producono gli alimenti, contro speculazione, accaparramenti e mercato nero. L’Assemblea 

Costituente sostiene quel movimento e scriverà l’articolo 45 della Carta Costituzionale che riconosce e promuove la cooperazione.

Nel 1948 cinquanta soci fondano la Cooperativa industrie alimentari modenesi (CIAM) che con 18  dipendenti rileva la Fondazione Siligardi, nota per la lavorazione di carni suine e bovine. Nascono o  si trasformano altre strutture produttive alimentari, formando il Consorzio di approvvigionamento  delle cooperative di consumo e agricole, con lo scopo primario di rifornire la frammentata rete degli 

spacci cooperativi di consumo. Dieci anni dopo con un primo percorso unitario: nasce l’Associazione  provinciale cooperative di consumo, per cambiare le politiche della cooperazione di distribuzione.  

Quando il furgone rosso supera per la prima volta i suoi cancelli, il Salumificio Frigieri è diventato il  nuovo stabilimento della CIAM, che ne fa la sua sede. La cooperativa può finalmente lavorare e  stagionare in proprio i prodotti suini, che dalla metà degli anni ’70 diventano la sua specialità. La CIAM cresce e nasce Unibon, si strutturano le cooperative dei soci conferitori. La cooperazione  genera cooperazione. Con il nuovo millennio, nuove fusioni creano Grandi Salumifici Italiani, poi il Gruppo Gran Terre partecipato e controllato da un ampio sistema cooperativo, che ne fa uno dei  maggiori gruppi agro-alimentari italiani ed europei. 

Le radici si sono estese ben oltre i confini modenesi ed emiliani, ma a Paganine resta il cuore. La  Ricostruzione del tessuto economico sociale e culturale delle terre modenesi porta il segno  fondamentale della cooperazione in settori decisivi della ricostruzione: edilizia, infrastrutture stradali  ed energetiche, abitazione, produzione agroindustriale, trasporti, stampa, servizi sociali e consumo.  Il valore etico della cooperazione attraversa in quegli anni l’intera società modenese. Il suo valore  economico, sociale e politico ha nella Lotta di Liberazione, nel coraggio delle donne che assaltarono  il Salumificio Frigieri, negli uomini che governarono difficili traiettorie imprenditoriali con  l’intelligenza del lavoro e nella Costituzione un saldo ancoraggio, tutto da riscoprire e reinterpretare  oggi per il futuro. 

Vanni Bulgarelli

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