Workers Buyout: a Bologna le storie di nuova cooperazione, per mantenere l’occupazione. Tra le esperienze, Lavanderia Girasole di Comacchio e Italstick di Modena

«Negli ultimi cinque anni abbiamo investito ogni anno dai quattro ai sei milioni di euro, e continueremo a farlo, nello sviluppo di nuove cooperative nate da crisi aziendali o da imprese senza ricambio generazionale. Al di là delle crisi legate soprattutto alle costruzioni, la cooperazione continua a creare occupazione e a registrare un saldo positivo». Lo ha precisato Giovanni Monti, presidente di Legacoop Emilia-Romagna, ai margini dell’incontro “Workers buy out: mestieri, competenze, lavoro. Storie di nuova cooperazione”, che si è tenuto mercoledì 8 giugno a Bologna in Regione. L’appuntamento – promosso dall’assessore regionale alle Attività produttivePalma Costi, in collaborazione con le centrali cooperative emiliano romagnole – ha approfondito gli aspetti di un fenomeno che si è originato negli anni ’80 – quando proprio per facilitare la costituzione di new coop fu promulgata la legge Marcora – e da allora è stato una risposta ai casi di crisi aziendali che si sono verificati sul nostro territorio.

«Con le nostre finanziarie e il fondo mutualistico cooperativo – prosegue Monti – negli ultimi 5 anni in Emilia-Romagna abbiamo investito dai quattro ai sei milioni di euro all’anno, e continueremo a farlo, nello sviluppo di nuove cooperative». «È un fenomeno che sta assumendo sempre maggiore consistenza – ha sottolineato Roberta Trovarelli, responsabile della promozione di nuove imprese di Legacoop Emilia-Romagna –. Il ruolo della cooperazione è a tutto campo: non si tratta solo di contribuire al finanziamento dell’operazione, viene svolto un vero e proprio lavoro di tutoraggio che va dall’analisi dell’idea imprenditoriale, al business plan, all’analisi dei mercati, fino a seguire passo per passo il decollo della nuova impresa».

Negli ultimi anni, in Emilia-Romagna il working buyout ha creato 56 nuove cooperative e ha salvato 1.200 posti di lavoro. E l’esperienza ha riguardato pressoché tutti i territori provinciali, con un picco a Forli-Cesena con 30 new coop (2 a Rimini, 8 a Reggio Emilia, 3 a Ravenna; 1 a Parma, 4 a Modena, 2 a Ferrara e 6 a Bologna) interessando diversi settori produttivi: il 5% nel settore agricoltura; il 60% nell’industria, di cui quasi la metà nell’edilizia; il 35% nel settore dei servizi.

E dietro a queste realtà ci sono diverse storie di donne e uomini che si rimboccano assieme le maniche e diventano artefici del proprio lavoro, ma anche storie di imprese che come l’Araba Fenice dalle ceneri di una crisi economica (o dalla mancanza di un ricambio generazionale) risorgono nei mercati globali. Come, ad esempio, la Greslab di Reggio Emilia, per la quale i soci fondatori hanno investito un ingente capitale personale utilizzando la legge 223 del 1991 (ex Marcora) con il riscatto della mobilità e che nel giro di 5 anni è riuscita a riaffermarsi in un mercato non facile come quello ceramico; la Lavanderia Girasole di Ferrara, cooperativa composta prevalentemente da donne, che è nata a fine 2013: dopo l’apertura del tavolo regionale di crisi di una azienda appurata la possibilità di proseguire l’attività precedente, hanno rilevato l’azienda; la Italstick di Modena, cooperativa di produzione di autoadesivi nata da una azienda in crisi, che ha fatto dell’internazionalizzazione il suo driver di successo; la IT Distribuzione di Bologna, cooperativa nel settore della distribuzione di materiali e tecnologie informatiche in tutto il territorio nazionale che, partendo dall’esperienza di crisi ha puntato sul continuous improvement e sull’innovazione tecnologica.

Tutte cooperative che dimostrano come sia possibile trasformare – pur nella complessità del processo- una impresa in crisi rilanciandone il business e creando anche nuovi posti di lavoro, spesso di qualità mettendo al centro l’innovazione, la ricerca e l’internazionalizzazione.

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